Cannabis e psichiatria: un viaggio tra storia e scienza

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Cannabis e disturbi psichiatrici: un viaggio tra storia e scienza

di Luca Zarathustra Lecca, autore e referente del Comitato Pazienti Cannabis Medica, rappresentante italiano presso il Concilio dei pazienti dell IACM (International Association for Cannabinoids as Medicine).

In una revisione scientifica intitolata: Nuove prospettive sull’uso della cannabis nel trattamento dei disturbi psichiatrici viene evidenziato che il CBD può essere usato nel trattamento dei disturbi psichiatrici.

COSA SONO I DISTURBI DELL’UMORE:

Per disturbo dell’umore si intendono tutti quei disturbi psicopatologici e sintomi che consistono in alterazioni o anomalie del tono dell’umore dell’individuo, capaci di causare alla persona problemi o disfunzioni persistenti o ripetute, oppure un grave disagio con pesanti ripercussioni sulla sua vita sociale e/o lavorativa. Spesso questo genere di disturbi si accompagnano a quelli d’ansia.

Il tono dell’umore oltre ad essere una caratteristica distintiva delle persone (ognuno di noi possiede il proprio tono dell’umore ed esso lo contraddistingue dagli altri) è ciò che definisce il nostro carattere, il nostro temperamento e la nostra indole. Il tono dell’umore è la risultante della nostra natura biologica, quella parte di noi che ereditiamo dai nostri genitori, ed è strettamente correlato agli eventi che si succedono nel corso della nostra vita.

Nel corso degli anni Sono stati individuati alcuni neurotrasmettitori direttamente associati alla regolazione dell’umore: i principali sono la serotonina, la noradrenalina e la dopamina.

I principali farmaci che vengono prescritti per il trattamento dei disturbi correlati al tono dell’umore in genere agiscono direttamente o indirettamente su questi recettori. Uno dei disturbi dell’umore più comuni è la depressione.

COS’È LA DEPRESSIONE:

La depressione è uno dei disturbi psichiatrici più debilitanti, una malattia spesso altamente invalidante che influisce negativamente su vari aspetti della vita della persona.

Chi soffre di depressione si ritrova a subire ripercussioni sulla propria vita su vari livelli: famiglia, studio, lavoro, abitudini alimentari e salute psicofisica, con un forte impatto sia sullo stile di vita che sulla qualità della stessa.

Le persone depresse sono spesso ansiose ed agitate e percepiscono un senso generalizzato di tristezza e di vuoto, accompagnato spesso da perdita di interesse o piacere nelle attività quotidiane (anedonia). Le persone depresse hanno sovente difficoltà nel prendere decisioni, persino quelle più semplici.

I NUMERI DELLA DEPRESSIONE:

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La depressione è il disturbo mentale più diffuso ed è spesso associato con l’ansia cronica grave.

Nel 2015 l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) ha stimato che in Italia le persone affette da depressione superino i 2,8 milioni, il 5,4% delle persone di 15 anni o più.Circa il 7% della popolazione oltre i 14 anni (3,7 milioni di persone) abbia sofferto nel 2015 di disturbi ansioso-depressivi.

Secondo uno studio condotto dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa, circa undici milioni di persone in Italia assumono quotidianamente farmaci antidepressivi

La percentuale di italiani con problemi legati al tono dell’umore arriverebbe dunque quasi al 20 per cento della popolazione, con una incidenza di quattro volte la media europea.

La depressione si manifesta solitamente per la prima volta tra i 20 ed i 30 anni ed attualmente non esiste un test di laboratorio per la sua diagnosi.

Il dolore è presente nel 65% dei pazienti depressi, infatti un gran numero di pazienti con dolore cronico soffre anche di depressione. La diagnosi in questi casi è spesso ritardata o non viene formulata e talvolta completamente fraintesa.

Il trattamento di prima linea prescritto per la depressione sono gli antidepressivi; tuttavia, non tutti i pazienti raggiungono la remissione completa e molti non rispondono ai trattamenti canonici.

Questo significa che è prioritario trovare altre tipologie di farmaci più efficaci e con meno effetti collaterali di quelli attualmente utilizzati.

Negli ultimi anni l’evidenza sia clinica che preclinica ha portato all’ipotesi di un legame tra difetti del sistema endocannabinoide e depressione.

COS’È IL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE:

Il sistema endocannabinoide (ECS) è un sistema biologico composto da recettori che mettono in comunicazione le cellule tra loro. Esso prende il nome dalla pianta che ne ha permesso la sua identificazione ed è uno dei più complessi e più importanti sistemi del nostro corpo, un vero e proprio “meccanico” che ha il compito di riparare, segnalare i guasti ed indicare al corpo come agire per ripararli.

Il sistema endocannabinoide contribuisce a regolare gran parte delle nostre funzioni vitali.

Il suo compito è anche quello di mantenere l’omeostasi dell’organismo che è quel bio equilibrio interno che viene influenzato dalle condizioni esterne dell’ambiente e dalle patologie.

Tra i suoi vari compiti c’è quello di regolare la neurogenesi (il processo di formazione di nuove cellule) di mantenere in vita le cellule normali e promuovere l’apoptosi (morte cellulare programmanta) delle cellule tumorali.

Il sistema endocannabinoide regola il sonno, l’appetito, il sistema immunitario, le reazioni nervose e lo stress.

I RECETTORI DEI CANNABINOIDI:

Nel 1990 un gruppo di ricercatori del National Institute of Mental Health (NIMH), ha annunciato la scoperta di una rete di recettori che vengono attivati da alcune sostanze contenute nella cannabis, i cannabinoidi.

Gli scienziati cercavano di capire come il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), la principale molecola psicoattiva della cannabis, interagisce con l’organismo, ed è così che vennero individuati i primi recettori, denominati recettori CB1.

Questa scoperta ha attirato l’attenzione della comunità scientifica, che ha cominciato ad investigare sul ruolo di questi recettori. Due anni dopo alcuni ricercatori dell‘Università di Gerusalemme capeggiati dal professor Raphael Mechoulam hanno scoperto la presenza di cannabinoidi prodotti dall’organismo (chiamati endocannabinoidi).

Il primo di questi cannabinoidi venne ribattezzato Anandamide (dal sanscrito “ānanda”, beatitudine interiore) ed in seguito venne individuato un secondo tipo di endocannabinoide, il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG) che si lega non solo con i CB1, ma anche con un secondo tipo di recettore denominato CB2.

IL LEGAME TRA SISTEMA ENDOCANNABINOIDE E DEPRESSIONE:

Nonostante i progressi in ambito neuropsichiatrico, una percentuale alta di pazienti non risponde agli interventi terapeutici di prima linea e spesso gli effetti collaterali degli stessi sono marcati. Per queste ragioni è indispensabilmente necessario trovare alternative più efficaci.

È comprovato che il sistema endocannabinoide gioca un ruolo chiave nelle risposte emotive e nella funzione cognitiva dei pazienti, e studi sia clinici che preclinici suggeriscono che la disregolazione della sua segnalazione neuronale possa essere coinvolta nella fisiopatologia di questi disturbi.

Per questa ragione farmaci che modulano la segnalazione degli endocannabinoidi possono essere utili nel trattamento dei disturbi neuropsichiatrici.

LA CANNABIS TRA STORIA E MEDICINA:

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Le prime tracce dell’uso della canapa risalgono addirittura al Neolitico nelle aree di Pakistan e Afghanistan. Per migliaia di anni essa era stata associata per le sue proprietà psicoattive a riti funerari, spirituali e religiosi. In India era considerata una delle 5 piante sacre ed il nome Hindi “Ganja” ha un forte valore spirituale.

La cannabis è stata utilizzata per millenni in diverse parti del mondo a scopo terapeutico come automedicazione per alleviare sintomi neuropsichiatrici quali ansia, depressione e mania.

Il botanico Hui-Lin riferisce che in Cina “l’uso della cannabis è stato probabilmente uno sviluppo molto precoce. Poiché gli esseri umani antichi usavano i semi di canapa come cibo era abbastanza naturale per loro scoprire anche le proprietà medicinali della pianta”.

La prima prova dell’uso medicinale della cannabis è in un erboristeria pubblicato durante il regno dell’imperatore cinese Chen Nung 5000 anni fa. Essa veniva consigliata per la malaria, la stitichezza, i dolori reumatici, “deficit d’attenzione” e “disturbi femminili”.

Secondo quanto scritto da R. Campbell Thompson nel suo “Dizionario di chimica e geologia assira” la cannabis era già conosciuta in Mesopotamia 3400 anni fa.

Esistono prove del suo utilizzo per fini medici, ricreativi e spirituali durante l’era ellenica, ai tempi dell’impero romano e nel medioevo, fino a quando Innocenzo VIII la definì immorale e indecente e ne paragonò l’uso alla stregoneria.

Un altro erborista cinese consigliava una miscela di canapa, resina e vino come analgesico durante gli interventi chirurgici.

In India la cannabis veniva raccomandata per stimolare la mente, abbassare la febbre, indurre il sonno, curare la dissenteria, stimolare l’appetito, migliorare la digestione, alleviare il mal di testa e curare le malattie veneree. Alcune tribù africane la utilizzavano per curare la dissenteria, la malaria e altre febbri. Ancora oggi alcune tribù trattano i morsi di serpente con la cannabis e la fumano prima del parto.

Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.»

Paracelso

l’INIZIO DEL PROIBIZIONISMO NEGLI STATI UNITI:

Cannabis e psichiatria

A causa della difficoltà nel controllare i dosaggi, dell’aumento della popolarità dei farmaci sintetici e degli oppiacei, dell’avvento della siringa ipodermica ed a seguito di una campagna mediatica senza precedenti perpetrata da politici e personalità illustri come William Randolph Hearst ed la famiglia Du Pont, la cannabis è scomparsa col tempo dalla farmacopea mondiale nonostante fosse già presente da 1764 nei dispensari Inglesi.

Hearst è stato un politico ed un magnate dell’editoria, considerato tra i padri del giornalismo scandalistico, dichiaratamente razzista, fu tra i sostenitori dell’intervento degli Stati Uniti nella guerra ispano-americana del 1898. Sui suoi giornali Hearst si riferiva astutamente alla canapa (in inglese hemp) utilizzando il termine gergale messicano “marijuana”.

Grazie al numero enorme di riviste, giornali e bobine cinematografiche che controllava egli riuscì in pochi anni a consolidare molti pregiudizi esistenti all’epoca.

La cannabis è stata quindi associata ai lavoratori messicani ed afroamericani che “minacciavano” di rubare posti di lavoro agli americani, pregiudizi che come tutti ben sappiamo sopravvivono ancora oggi. Le radici dell’odio nutrito nei confronti dei messicani può essere ricondotto alle azioni del rivoluzionario Pancho Villa, che durante la Rivoluzione Messicana si impadronì di un ranch di più di 1.000.000 di ettari coltivati a legno di proprietà della famiglia di Hearst. Nel 1937 Henry Ford presentò la sua Hemp Body Car (in ingelse«auto di canapa») o Ford Cannabis  interamente realizzata con un materiale ottenuto dai semi di soia e di canapa e alimentata da etanolo di canapa. È stata la prima vettura costruita interamente in plastica di canapa, più leggera ma anche più resistente delle normali carrozzerie Lo stesso Ford per dimostrare ai giornalisti e al pubblico l’elasticità e la resistenza del nuovo tipo di carrozzeria, si fece filmare mentre colpiva violentemente con una mazza il retro della vettura, senza che questa neppure si ammaccasse. Sempre nel 1937 Harry Jacob Anslinger (Ispettore del Bureau of Prohibition durante il proibizionismo degli alcolici)  portò i giornali di Hearst al congresso per argomentare e giustificare una legge denominata Marijuana Tax Act, che avrebbe in seguito tassato pesantemente la Cannabis, rendendola di fatto troppo costosa per le industrie dell’epoca e perseguibile penalmente chi la deteneva e la coltivava contravvenendo alla legge. Sempre sotto la spinta di Anslinger, nel 1951, due anni dopo la costituzione della NATO, il presidente Truman firmò nel 1951 il Boggs Act, che rendeva illegale il possesso e il consumo di marijuana.

Il peso delle politiche americane a seguito del secondo conflitto mondiale si ripercossero sui tutti gli stati che aderirono alla NATO ed all’ONU, e fu così che nel 1961 la cannabis venne inserita nella lista di sostanze stupefacenti della convenzione unica sugli stupefacenti scomparendo di fatto dalla farmacopea mondiale.

QUALCOSA È CAMBIATO:

Negli anni a seguire la maggior parte degli studi e delle ricerche erano perlopiù volti ad investigare gli effetti deleteri dell’abuso di cannabis.

Solo di recente si è ripreso ad investigare sulle sue proprietà e sulla sua efficacia in campo medico. L’orientamento degli studi nel passato prendeva in considerazione la pianta nel suo complesso, trascurando il fatto che all’interno della stessa esistono più di 800 sostanze con funzioni enormemente diverse tra loro.

Per queste e per altre ragioni le prove a sostegno dell’uso della cannabis per il trattamento dei disturbi neuropsichiatrici sono equivoche. Il ∆9-THC è il principale componente psicoattivo della cannabis ed è anche il principio attivo responsabile delle possibili complicanze di natura neuropsichiatrica.

Al contrario, il cannabidiolo (CBD) è un composto generalmente definito come non psicoattivo o meglio, esercita un azione psicoattiva positiva avendo proprietà sia antipsicotiche che ansiolitiche. Il rapporto di questi due composti nella cannabis è molto variabile pertanto gli effetti sulla salute mentale debbono obbligatoriamente tener conto non della pianta nel suo complesso, anche perché esistono milioni di varietà diverse con percentuali diverse di principi attivi, bensì delle interazioni tra gli stessi sulla base di precisi dosaggi. Mentre l’uso di cannabis contenente alte concentrazioni di THC e basse concentrazioni di CBD è associato a un rischio più elevato di un primo episodio psicotico l’uso di cannabis con un alto contenuto di CBD era associato a livelli significativamente più bassi di sintomi psicotici.

Studi randomizzati controllati (RCT) su pazienti psichiatrici suggeriscono che il CBD potrebbe avere una potenziale efficacia nel trattamento dei disturbi psicotici e d’ansia.

Altri studi dimostrano che il pretrattamento del CBD migliora significativamente i sintomi psicotici nei pazienti schizofrenici e diminuisce l’ansia nei pazienti con diagnosi di disturbo affettivo stagionale (SAD) generalizzato.

È inoltre importante considerare il fatto che dagli studi emerge che il CBD è stato ben tollerato con solo pochi effetti collaterali minori. Sebbene gli studi qui esaminati forniscano una chiara prova degli effetti benefici del CBD nel trattamento dei disturbi psichiatrici, è necessario approfondire gli studi con campioni di dimensioni e durata maggiori e vanno approfondite le interazioni con altri farmaci nonché la ricerca di base per comprendere i suoi potenziali meccanismi d’azione.

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Luca Zarathustra Lecca, autore e referente del Comitato Pazienti Cannabis Medica  e rappresentante italiano presso il Concilio dei pazienti dell IACM (International Association for Cannabis as Medicine).

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Depresso un’italiano su cinque: le cure fai da te sono un’emergenza. lastampa.it

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